Gianluca Scamacca ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport, dove ha parlato ovviamente di questo momento della sua carriera che lo vede lontano dai campi di gioco almeno fino alla prossima stagione, dopo la ricaduta accusata durante il suo rientro in campo contro il Torino.
“Il momento più difficile della carriera? Sì, perché non ero mai stato lontano dal campo così tanto. Ma è anche quello che mi ha messo davanti a uno specchio, alla prova: forse ne avevo bisogno per scoprirmi dentro quel dieci per cento in più che non avevo prima, quando vivevo le difficoltà come tragedie. E invece bastavano solo un po’ di equilibrio e di calma in più.
Senti di esser sopravvissuto a questo momento?:
“Io un sopravvissuto? Sopravvissuti sono quelli che sono dentro un palazzo che crolla per un terremoto e non muoiono. Questa è una sfida che devo affrontare e se lo faccio riuscendo a trovarci un lato positivo, quando tornerò a stare bene avrò la certezza definitiva che un momento di down non è mai la fine. E apprezzerò ancora di più i momenti up”.
Dei due infortuni che hai subito, quale consideri il più duro e quale quello dove ritieni di essere stato più sfortunato?
“Il più duro? Atalanta-Torino: vedevo la luce e si è spenta dopo un minuto.
Se a Parma fu sfortuna? La sfiga da sola non esiste. Feci tutto da solo: un movimento sciocco, di quelli che in allenamento ripeti dieci volte, ma forse ero un po’ stanco. Non fisicamente, anzi stavo una bomba. Magari più di testa: dopo l’Europeo avevo fatto solo venti giorni di vacanza, non avevo sbollito una grande delusione, non ero ancora ‘pulito'”.
Col Torino non ero pronto? È quello che dissero gli stupidi, ma tanto nel calcio è così: tutti dottori e tutti allenatori. Fatalità: un contrasto con Ricci, alzo la gamba, vado a vuoto e sento “tac”. Ho continuato perché mi sono detto: “Magari capita una palla in area…”. Ma avevo capito subito che mi ero fatto male”.
Il momento di maggior sconforto?
“Più di uno, già da agosto, perché tutto quello che l’Atalanta doveva giocare quest’anno lo sentivo mio, me l’ero guadagnato: la Supercoppa Europea, la Supercoppa Italiana, la mia prima Champions che non vedevo e non vedo l’ora di giocare. Ma il peggiore è stato la sera della partita con il Real: quella che ho sofferto di più da guardare sul divano. La partita che mi è mancato di più non poter giocare? Atalanta-Inter: c’era un’atmosfera meravigliosa”.
Quando tornerai in campo?
“Tempi di recupero per il secondo infortunio: quattro mesi e mezzo. Quando riprenderà la preparazione, a metà luglio, ne saranno passati più di cinque: hai voglia…”
Hai come obiettivo il portare l’Italia al prossimo mondiale?
“Quello dipenderà da come starò, se farò bene con l’Atalanta: dunque devo pensare all’Atalanta, prima di ripensare alla Nazionale”.
Hai fatto qualche richiesta ai tuoi compagni?
“Portatemi in Champions: tutti i giorni. Potessi spingerli io… Ma sono molto fiducioso: lo sono sempre stato: gli alti e bassi li hanno tutti, li abbiamo avuti anche l’anno scorso e i nostri si vedono di più perché siamo una squadra che va sempre a duemila. Stanno giocando una grande stagione nonostante gli infortuni, le tante partite e le difficoltà: sono convinto che mi accontenteranno”.
Chi é stato al tuo fianco maggiormente in questo periodo?
“Mamma lo è sempre stata, mi ha accompagnato nel mio viaggio da quando ero piccolo: le devo tutto. Poi è arrivata Flaminia, una donna forte perché io non sono facile da gestire. Non potevo trovare compagna migliore da avere al mio fianco. E infatti la sposo, il 4 giugno”.
Cosa pensi della stagione di Mateo Retegui, pensi che possiate giocare assieme?
“È forte, l’Atalanta è un ambiente speciale e qui, chi più e chi meno, le punte hanno sempre segnato tanto. Due centravanti in rosa non sono mai troppi, qualunque allenatore li vorrebbe. Per come gioca l’Atalanta i due attaccanti devono fare cose diverse e io non faccio quello che fa Lookman: forse sarà più facile in corsa. Dipenderà dalle partite. E da quello che si inventerà il mister…”.